PERCORSI
Alessio Riccio - OTTOBRE 2008
Se devo pensare a una frase che riassuma il rapporto che ho avuto con la musica negli ultimi anni, elaborerei la seguente: utilizzare l'ignoto per rendere ignoto ciò che è noto. Le conseguenze creative e operative di un tale presupposto si sono manifestate, per me, in maniera tanto forte quanto spontanea: lavorare alla disarticolazione o, più propriamente, alla meta-articolazione dei linguaggi e delle varie techné a loro interconnesse, ridefinendo costantemente la propria identità di musicista. Tutto questo, però, mantenendo ben saldo nella mente il presupposto di cui sopra: non forzare l'ignoto a lasciarsi conoscere troppo, riconoscendo al mistero il suo ruolo di tratto essenziale dell'arte.
Nel momento in cui il mistero si fa scintilla e diviene allo stesso tempo ispirazione e obiettivo, si manifestano quasi automaticamente le condizioni psicologiche, concettuali e operative atte alla creazione di musica che non si lasci ricondurre o riassumere sotto la configurazione del “già noto” (del pre-digerito, scriverebbe Adorno), e se la massificazione percettiva dei linguaggi mainstream mira strategicamente a reazioni standardizzate, la musica di chi avverte la necessità di provare a (r)innovare continuamente l'esperienza del suono, del suo essere vissuto così come del suo essere proposto e fruito, procede nella direzione opposta, verso la costruzione dell'alternativa, verso nuovi sentieri nell'uso delle cose e delle categorie mentali, verso tracciati non convenzionali, verso una visione rinnovata del mondo.
Da performer e sound shaper mi adopero quotidianamente per un'e(ste)tica della sovversione, per la quale, scrive Pierre Boulez, non si dà creazione se non nell'imprevedibile che diviene necessità, e se penso alla mia personale idea del musicista attuale, della sua collocazione nel mondo, alle possibili direzioni che possano essere intraprese, ai territori e le possibilità che possano essere esplorati e proposti, ai progetti ideati e condivisi, due sono i punti fondamentali che appunterei su un immaginario taccuino di viaggio, da portare sempre con me e sfogliare quando sento di aver perso l'orientamento:
- una musica è interessante solo nella misura in cui apporta un nuovo fondamentale, che deve apparire nella trasformazione dell’artista e della sua soggettività;
- qualsiasi forma di passione radicale, sia essa artistica, politica, scientifica o, più semplicemente, qualsiasi forma d’amore, per una persona, un’idea, un progetto, una pulsione, si fondano su un’esigenza invisibile, che non ha nessuna forma concreta, che non si può identificare con nessuna forma di istituzionalizzazione, né tanto meno con forme di serialità sociale.
Una musica che prenda forma filtrata da questi presupposti sarà fresca, vitale e attuale, sarà pervasa da un senso di inevitabilità, si concretizzerà attraverso approcci e metodologie creative non convenzionali, sarà testimone di barriere che si spezzano e vengono oltrepassate: nuove visioni e nuove poetiche s'imporranno all'attenzione, ulteriori possibilità espressive e linguistiche contribuiranno ad accrescere la disponibilità alla percezione di una musica (e magari della vita stessa) finalmente molteplice, che rimetta costantemente in gioco le potenzialità di tutti i sensi.
Sul piano strettamente operativo, quello strumentale, performativo e compositivo-assemblativo, il lavoro teso alla creazione di un universo sonico personale (il suono del proprio strumento così come quello complessivo, l'idea generale della propria musica), di un universo linguistico ed espressivo potenzialmente unico, deve a mio avviso procedere ripensando innanzitutto i suggestivi campi esperienziali della creatività, nutrendosi dell'idea di differenza, di un approccio esperienziale al fare: è la passione che si trasforma in ricerca, attraverso lo spasmodico tentativo di elaborazione di una propria idea di musica, una musica rigorosa ma che allo stesso tempo si dia come un organismo vivente, musica che istituisca contatti profondi, che sia frutto tanto del lavoro sul campo dell'esperienza sensibile quanto su quello della riflessione intellettuale. Musica che sia frutto del caparbio sforzo teso all'elaborazione di una propria idea di forma e che, attraverso questo percorso, conduca alla serena accettazione di tempistiche lunghe o addirittura lunghissime nel processo di traslazione delle idee dal piano puramente intuitivo e concettuale a quello fattuale, al progetto finito e formato. Su questo punto è davvero impossibile, per me, non pensare a Rielke e al suo invito a non temere il tempo che scorre, quando chiama ad attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto di una nuova chiarezza, dato che, questo solo si chiama vivere da artisti, nel comprendere come nel creare. E ancora: qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni non son nulla. Riaffiora anche alla mia mente una lettura di qualche tempo fa, riguardo la conversazione fra i pianisti Leon Fleisher e Hélène Grimaud, con il primo, il maestro, che dice alla seconda, la studentessa, qualsiasi cosa faccia, lei ha le capacità per farla benissimo per conto suo. Ma non cominci troppo presto. Suoni il meno possibile. Resti in disparte finché non avrà trovato il suo sistema personale.
La domanda ultima, quindi, potrebbe essere questa: come può il musicista costruire un proprio sistema personale e con quello, magari, cercare di modificare gli innumerevoli status quo? Io ho cercato di rispondere procedendo verso la radicale personalizzazione di ogni singolo elemento sonico, perseguendo una meticolosa iperdeterminazione del materiale creativo così come una concezione estatica ed immersiva di progettazione, creazione e fruizione. L'obbiettivo, figlio del presupposto iniziale, era ed è una musica che conservi il senso dell'enigma, una musica la cui risonanza venga garantita dal rigore delle complessità formali e dalla macrostruttura, una musica che conduca in un luogo dove tutto succeda per la prima volta, dove il ritmo è l'Ineguale o l'Incommensurabile, dove ad essere ritmica è la differenza e non la ripetizione (Deleuze), dove esistano tutte le condizioni favorevoli alla proliferazione di significati. Una dimensione magica e molteplice, che si muova dal campo circoscritto della sperimentazione a una dimensione coestensiva del suono e del mondo, che guidi verso uno spazio senza tempo, ove tutto, finalmente, si placa.